COLLEEN – The Weighing Of The Heart
(Second Language, 2013)
Annunciato in maniera invero piuttosto timida, “The Weighing Of The Heart” pare aver raggiunto l’apice delle aspettative tra tutte le uscite finora pubblicate in due anni e mezzo di attività dell’etichetta Second Language, ivi compreso l’ultimo disco dei “padroni di casa” Piano Magic. Si tratta di un dato solo in parte sorprendente, in ragione della notevole considerazione critica ricevuta dai tre album della polistrumentista francese Cécile Schott e soprattutto della perdurante assenza della stessa dalla scena musicale, che ne avevano fatto temere una definitiva opzione in favore del suo altro ramo di interesse, ovvero quello delle arti visuali.
Simili aspettative sono dunque ripagate dal ritorno discografico a ben sei anni dal precedente “Les Ondes Silencieuses”, periodo nel quale è intercorsa una profonda crisi artistica, che ha tra l’altro condotto Colleen a una significativa riconsiderazione delle sue modalità espressive, qui incarnata da un accentuato impiego di una strumentazione acustica tanto varia quanto disadorna e, soprattutto, dalla presenza in numerose tracce dell’elemento vocale in funzione di vero e proprio cantato.
Scarne, narcolettiche e sovente ridotte a poco più che sospiri incorporei, le interpretazioni adornano con estrema sobrietà fiorite giustapposizioni di loop, riverberi e sovraincisioni che conservano intatta la struttura incrementale – a mo’ di onde sovrapposte l’una all’altra – delle composizioni della Schott. Solo che, rispetto al passato, “The Weighing Of The Heart” presenta apprezzabili mutazioni nei registri e nel modo stesso in cui gli strumenti vengono suonati: sotto il primo profilo, gran parte dei brani denota un’accresciuta enfasi sulle strutture dinamiche e ritmiche, mentre dal punto di vista esecutivo in particolare l’utilizzo degli archi è protagonista di una sensibile traslitterazione da prolungate elongazioni di note in sincopi prodotte da corde pizzicate.
Entrambi i fattori aggiungono colore e calore ai brani, unitamente ad arrangiamenti sempre misurati, tuttavia sufficienti a coprire un’ampia tavolozza di soluzioni, che va da sinuosi echi d’organo a virtuosismi di violino, da arpeggi acustici a giocose texture di clarino. Ne risulta così un universo sonoro fragile e variopinto, come d’abitudine sfuggente a definizioni univoche nel suo incantato oscillare tra richiami a un folk ancestrale, al misticismo etnico, al jazz o – in breve – a una miriade di stille acustiche lavorate e sovrapposte in un patchwork post-moderno frutto di una sensibilità unica.
Il tutto è, adesso, reso ancor più fluido e flessibile dalla voce, che ripete singoli versi o improvvisa cori e ritornelli, completando e modellando brani dalle melodie esili e giocose. Nessuno di essi – tra il samba scarnificato di “Push The Boat Onto The Sand”, i sospiri di “Ursa Major Find” e il pulsante mantra di “Humming Fields” – possiede davvero le caratteristiche per essere definita una canzone in senso proprio; tuttavia, ciascuno risponde all’obliqua estetica di un’artista in grado come poche altre di rifuggire termini di comparazione, l’interruzione del cui duraturo silenzio non può che essere salutata con estremo piacere.
http://www.colleenplays.org/
http://www.secondlanguagemusic.com/
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