MOVIETONE – Day And Night
(Drag City, 1997)
Non di soli tormenti lo-fi e cadenzate impronte trip-hop viveva la straordinaria stagione di Bristol a cavallo della metà degli anni ’90, ma anche dei languidi spunti di una dolcezza intorpidita dai vapori nebbiosi sospesi, al crepuscolo, sopra la profonda insenatura marina che dalla città stessa prende il nome, separando l’Inghilterra sud-occidentale dal Galles.
Tra i numerosi artisti che in quel microcosmo creativo hanno trovato la propria culla in quegli anni, anche Rachel Brook non era passata indenne dalla tensione sperimentale della bassa fedeltà, avendo donato la sua voce sottile ed evocativa ai primi lavori dei Flying Saucer Attack. Abbandonato ben presto – ma dopo alcuni episodi memorabili – il sodalizio con Dave Pearce, la Brook ha intrapreso il personale percorso dei Movietone, accompagnata prima da Matt Elliott (nell’omonimo debutto del 1995) e poi da Chris Cole (che diventerà poi suo marito), Kate Wright e Matt Jones (Crescent).
Una delicatezza, appunto, sonnolenta e tutta femminile, caratterizza l’intero “Day And Night”, secondo lavoro dei Movietone, nel quale la Brook continua l’opera di “liberazione”, dalle gabbie delle distorsioni lo-fi, della propria umbratile vena di scrittura e interpretazione, che troverà poi esito compiuto nelle successive opere della band, in particolare “The Sand And The Stars” (2003). Negli appena sette brani di “Day And Night” sono tuttavia gettate le basi per la compiuta maturazione cantautorale della Brook, che pure in essi non rinuncia affatto all’imperfezione dell’immediatezza di registrazione né al gusto della ricerca su timbri e cadenze, che nel corso del lavoro la conducono a definire convergenze sorprendenti, come quella tra narcolessie intimiste e sentori dal vago sapore esotico.
Non a caso, brani quali “Useless Landscapes” e “Night Of The Acacias” presentano un sonnolento incedere bossa, alimentato dal clarinetto e dalle sfumate ritmiche di Jones, che al pari del pianoforte di “Summer” disegna oblique trame al rallentatore, che accompagnano il cantato in perenne stato di trance della Brook, che trova corrispettivo ideale nei saltuari dialoghi con la voce di Kate Wright. Pur partendo tutti i brani da tale comune denominatore, il lavoro risulta sorprendentemente vario nei minimali contorni che i suoi passaggi di volta in volta assumono: le granulose sospensioni acustiche di “Blank Like Snow”, la progressione lievemente acida dell’iniziale “Sun Drawing”, gli incastri analogici e jazzy di “Night Of The Acacias”, i danzanti sentori salmastri di “Noche Marina” e gli abissi di malinconia del compassato finale di quasi dieci minuti “The Crystallisation of Salt at Night” raccontano infatti di sensibilità musicali diverse e complementari, riassunte in Movietone in un unicum coerente, minimale, ma frutto di una personalità poliedrica.
Nelle pieghe di tutti i brani, infatti, potrebbero scorgersi – più che vere e proprie affinità espressive – traslitterazioni nel brumoso idioma bristoliano di soluzioni sonore ricercate che, non dimentiche dell’esperienza dei Flying Saucer Attack per quanto concerne la disadorna dimensione creativa, possono spaziare dai Pram “tropical-jazz” di “Sargasso Sea” alle contemplazioni rurali degli Hood di “The Cycle Of Days And Seasons”. Contesti e atmosfere diverse che convivono in un equilibrio di grazia e riservatezza tutta femminile, che rivive nella sua essenza nel presente di tante timide voci femminili “da cameretta”, ma soprattutto nella vivida memoria di un’esperienza artistica volutamente dimessa e “minore” e proprio per questo indimenticabile nella sua non artificiosa unicità.