OLIVER CHERER – The Myth Of Violet Meek
(Wayside & Woodland, 2017)*
Che personaggio – e musicista – incredibile è Oliver Cherer! Artista camaleontico come pochi altri, non solo protagonista di progetti dallo stile più vario (Dollboy, Rhododendron, Australian Testing Labs, Gilroy Mere), ma anche capace di calare la propria creatività in contesti che vanno dalla tradizione alla fantascienza, dal mito alla contemporaneità.
Per la seconda volta, tre anni e mezzo dopo lo splendido “Sir Ollife Leigh And Other Ghosts”, Cherer pubblica un lavoro a proprio nome e, come già la volta precedente, si tratta per lui dell’occasione per dare libero sfogo alla sua anima più folk, sebbene declinata tanto nei temi quanto nei modi in piena coerenza con il suo approccio lieve e visionario. “The Myth Of Violet Meek” si presenta infatti come un racconto unitario, radicato nella cultura popolare di luoghi rurali nei quali Cherer ha trascorso parte della sua giovinezza, raccogliendovi spunti di storie e leggende che oggi fa rivivere attraverso la sua musica.
La leggenda silvestre della ragazza e dell’orso rivive così nei tredici brani dell’album, che ripercorre come in un musical un itinerario narrativo nel quale si susseguono personaggi, voci e registri, tutti comunque accomunati dalla scrittura e dalle orchestrazioni dell’artista inglese, entrambe mai meno che immaginifiche.
L’aspetto teatrale dell’opera muove appunto dal coro iniziale, si snoda in episodi di un folk ricoperto da uno strato di polvere acida e in ballate di più compunto lirismo, senza tuttavia rinunciare a interludi strumentali più o meno stranianti, nei quali torna a comparire la passione di Cherer per misteri e fantasmi. Nell’ultimo caso si tratta tuttavia di passaggi marginali nell’economia di “The Myth Of Violet Meek”, lavoro invece dominato dalle innumerevoli sfaccettature di un linguaggio musicale non meno popolare delle storie che racconta e, anzi, fa raccontare dai vari personaggi di volta in volta impersonati dai registri interpretativi di Cherer e della compagnia corale che lo supporta.
Che si tratti del folk misterioso di “Delicate Blooms” o di quello incantato di “Unspoken”, dell’enfasi seventies di “Violet Says” e di “O My Darling Boy” o dell’essenzialità acustica di “Ruins” e “Valentine”, il lavoro rispecchia nella sua coesione narrativa la varietà di momenti e ambientazioni d’arrangiamento; entrambe sono orchestrate con gusto pop piacevolmente retrò da Oliver Cherer, artista che si è sempre dimostrato capace di realizzare produzioni molto diverse tra loro, ma che in questa dimensione trova senz’altro la sua espressione migliore, tale da travalicare nuovamente con naturalezza i confini dello spazio e del tempo, del sogno e della realtà.
*disco della settimana dal 25 settembre al 1° ottobre 2017