intervista: MARSEN JULES

A breve distanza dalla pubblicazione di “Beautyfear“, Martin Juhls racconta il suo approccio alla musica e illustra i nuovi orizzonti di Marsen Jules e dei suoi numerosi progetti artistici.

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Qual è stata la tua formazione musicale? Come ti sei approcciato alla musica elettronica e ambientale?
Il primo strumento che ho cominciato a suonare è stata la chitarra, ma da sempre ho cercato modi di impiegare lo strumento al di fuori del manuale, così da poter creare nuovi tipi di suono. Amavo molto i Sonic Youth, così come Neil Young e l’estatica mole di feedback sul suo album “Arc”. La possibilità di creare per intero un mondo sono mi ha sempre affascinato, quindi da ciò ho sviluppato il mio interesse nella musica degli sperimentatori pionieri della prima metà del secolo scorso. Ho ascoltato molto Stockhausen, Ligeti, Luigi Nono e Penderecki, dopo di che mi sono imbattuto quasi per caso in Autechre and Aphex Twin, che mi hanno profondamente impressionato. Allora, invece di suonare semplicemente la chitarra, ho cominciato a lavorare con registratori 4-tracce, loop di minidisc, sequencer midi e field recordings per creare i miei primi brani e per assemblare collage sonori. E poi mi divertivo a creare mix che miscelavano quattro o sei cassette e loop di minidisc contemporaneamente.

C’è qualche artista che consideri importante nella tua formazione o almeno vicino nel tuo modo di fare musica?
Ci sono senz’altro delle influenze dirette. L’ascolto di opere quali “Gesang der Jünglinge” e “Studie 1” di Stockhausen ha avuto una notevole influenza sul mio modo di concepire il silenzio. Si dice che Andy Warhol abbia dipinto tutti i suoi quadri su tele che prima erano state colorate di nero; in una certa misura il silenzio è diventata la base di tutte le mie composizioni ed è presente in ogni momento. Un’altra influenza fondamentale sono state le tecniche di “phasing” di Steve Reich, in base alle quali composizioni di diversa durata si muovono l’una incontro all’altra. Mi capita di utilizzare questa tecnica in una versione molto rallentata e persino su diversi livelli della composizione. Questo tipo di tecnica è stata alla base anche della musica generativa di Brian Eno.

Come potresti sintetizzare il significato e la finalità della tua musica?
Un’espressione dell’inconscio in un linguaggio che trascende le parole.

Qual è la tua condizione ideale per comporre? Cosa in particolare suscita la tua ispirazione?
Semplicemente avviene. Ma ultimamente il fattore più importante è avere tempo perché si manifesti. Se tempo e ispirazione sono presenti, allora possono essere di grande aiuto anche un buon tè verde in una mattina piovosa o una bottiglia di vino rosso a tarda notte.

Molti artisti sperimentali hanno discografie molto fitte, mentre gli ultimi tuoi dischi a nome Marsen Jules hanno richiesto tempi abbastanza lunghi perché vedessero la luce. È dipeso dal fatto che hai bisogno di molto tempo per definire tutti i dettagli, oppure c’è stato qualche altro motivo?
No, di solito lavoro molto rapidamente e in maniera intuitive. Ma dopo il fallimento del distributore Haumusik e la chiusura dell’etichetta City Centre Offices avevo così tanto materiale inedito da non sentire nemmeno più l’ispirazione di creare nuova musica. Creare una mia etichetta mi sembrava una buona idea, ma è stata un’attività che ha richiesto tempo. All’inizio, per cominciare a consolidare l’etichetta ho pubblicato le ristampe di “Lazy Sunday Funerals” e “Yara”. Poi la compilation dedicata ad Harold Budd (“Lost In The Humming Air”, n.d.r.) ha richiesto molto lavoro. Purtroppo molte cose non sono andate per il verso giusto con la promozione di “Nostalgia”, che secondo me è il mio disco più emozionale e sentito dal punto di vista personale. Poi è arrivato l’album con il Trio (“Présence Acousmatique”) e adesso “Beautyfear” e a questo punto ho ancora materiale per altri quattro album di Marsen Jules e una nuova collaborazione all’orizzonte con il pianista Bruno Sanfilippo.

Nell’intervallo tra i tuoi ultimi dischi hai comunque pubblicato lavori dei tuoi altri progetti, krill.minima e il Marsen Jules Trio: quando componi sai già a quale progetto sarà destinata una certa traccia?
Marsen Jules continua a essere il mio progetto principale, mentre gli altri sono collaborazioni con altri musicisti. Krill.minima al momento è fermo e quello pubblicato era una raccolta di vecchio materiale. C’è sempre stata una differenza sostanziale tra i miei progetti: Marsen Jules ruota intorno all’esplorazione di fonti acustiche in un’accezione molto poetica, secondo l’idea di creare un intero universo a partire da poche particelle di suono. Con krill.minima invece si trattava di raccogliere tanti suoni differenti cercando di renderli in maniera unitaria, ma purtroppo non ho semplicemente più il tempo sufficiente per concentrarmi su un lavoro del genere.

Mentre “Nostalgia” era un disco in qualche modo romantico, “Beautyfear” appare più oscuro e concentrato su una resa sonora “orchestrale”: come sei pervenuto alla scelta delle sonorità di quest’ultimo disco?
È semplicemente successo. Per me quello della creazione musicale è un processo estremamente intuitivo, direi quasi inconscio, che si conclude nel momento in cui mi sento a mio agio con un certo suono, un po’ come quello di un pittore che sceglie i colori in maniera intuitiva, a seconda delle sensazioni del momento.

C’è un significato concettuale sotteso al titolo del disco e una ragione per cui hai lasciato tutte le tracce senza titoli?
Sì, c’è un significato concettuale e anche una stretta correlazione tra musica, artwork e titolo. È stato un album davvero molto personale.

Pensi che l’elettronica possa da sola riassumere l’ampiezza di suono di un’intera orchestra o che vi sia comunque necessità di una matrice acustica concreta?
Non ho una chiara idea in proposito, perché il mio lavoro si fonda sempre su registrazioni di momenti acustici singolari.

Per quanto contino le definizioni, cosa pensi dell’espressione “modern classical”?
C’è un sacco di musica in giro classificata secondo questo genere, che è semplicemente musica da colonna sonora ben composta. Non differisce tanto rispetto a certa cosiddetta “avant-garde” di compositori elettronici e a una buona colonna sonora hollywoodiana. Anche se molta della mia musica ha un notevole rapporto con le sonorità classiche e orchestrali, non è mai stato un mio obiettivo quello di creare musica soltanto gradevole ed emozionale.

La tua musica suona molto “cinematica”: c’è qualche connessione con immagini, luoghi, etc.?
Sì, la mia musica è frutto di un approccio molto poetico e narrativo, ma mi piace mantenerla aperta alla percezione personale. È proprio il motivo per cui, ad esempio, lavoro con il regista Anders Weberg. Le sue immagini sono molto sfumate e surreali, per cui quando suono con lui anch’io cerco di rendere la musica quanto più astratta ed essenziale possibile, in modo che chi vede e ascolta possa tuffarsi nella propria percezione e non essere distratto da concetti fissi.

È facile immaginare che gran parte dei tuoi ascolti siano di musica sperimentale o elettronica, ma in linea generale, che musica apprezzi maggiormente da ascoltatore?
L’aspetto della qualità per me è diventato fondamentale. Rimango colpito da musica prodotta in maniera molto ricca e professionale. Per esempio le colonne sonore di “Million Dollar Hotel“ di Wim Wenders o quella della serie televisiva “House of Cards“ e le composizioni di Cliff Martinez possiedono quella qualità. Forse questo può essere paragonato a un ottimo tè verde giapponese: se lo stai bevendo solo per assumere caffeina, allora per te è indifferente, ma se hai un senso del gusto molto sviluppato, si tratta di mondi completamente differenti.

Oltre a scrivere musica, gestisci anche l’etichetta Oktaf: cosa ti ha indotto a creare un’etichetta discografica in un mercato musicale difficile come quello odierno? Che esperienza hai tratto finora dall’etichetta?
Volevo soltanto essere in grado di avere tutto nelle mie mani. Finora stiamo ricevendo buoni feedback e, siccome utilizzo l’etichetta principalmente per promuovere la mia musica, ne vale la pena anche se non è particolarmente produttiva dal punto di vista economico. Inoltre, investo una parte dei miei ricavi in uscite di altri artisti, quali Gastón Arévalo e Lufth.

Cosa pensi delle attuali modalità di diffusione della musica attraverso la rete?
È magnifico come la musica possa diffondersi facilmente in tutto il mondo e raggiungere così tante persone. Ma è anche un’enorme sofferenza che in questi tempi sia così difficile essere un’artista che vive della propria arte. Penso che la società debba assumersi delle responsabilità nei confronti degli artisti e delle loro creazioni in futuro. Quello di essere un artista oggigiorno è un lusso che concedo a me stesso.

Cosa possiamo attenderci da te nel prossimo futuro?
Ci sono un paio di uscite in programma quest’anno. Una lunga traccia unica per la russa Dronarivm e un album concettuale per l’italiana Glacial Movements. Inoltre pubblicherò i miei lavori frutto di una residenza ai GRM Studios di Parigi e una collaborazione con il pianista Bruno Sanfilippo. Quanto all’attività dal vivo, suonerò in un paio di performance insieme ad Anders Weberg in occasione di alcuni festival internazionali.

 (read the interview in English here)

http://www.marsenjules.de/

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