PERILS – Perils
(Desire Path, 2015)
La parabola che ha condotto Thomas Meluch verso territori ambientali sempre più rarefatti, esplicitata nell’ultimo album “Sonnet” e nel recente Ep “Noyaux”, ha radici nelle attitudini dell’artista di Portland e nelle frequentazioni che negli ultimi tempi l’hanno condotto accanto a Rafael Anton Irisarri in Orcas e al compositore canadese Kyle Bobby Dunn in Perils.
L’idea condivisa con Dunn, che porta adesso all’omonimo album di debutto del nuovo progetto, risale in realtà a tre anni fa, in un interstizio transizionale tra le attività dei due artisti, condiviso sotto forma di dieci brani che ne fondono attitudini atmosferiche e ricerca elettro-acustica non aliena da materializzarsi in frammenti di canzoni.
In parziale controtendenza rispetto alle ultime derive ambientali di Benoît Pioulard, il tratto immediatamente distintivo di “Perils” è la presenza dell’elemento vocale che, diafano e immateriale sulle filtrate risonanze pianistiche di “(Dead In The) Creekbed Blues” e morbidamente trasognato sulle soffici modulazioni di “Flaw” e “The Unbecoming”, acquista fluidità e definizione melodica sui disadorni accordi acustici di “Resin”.
Il lavoro presenta tuttavia una parete preponderante di marca segnatamente ambientale, dominata dai drone finissimi e avviluppanti di Dunn (“La Brume”, “Maps Of Sinking”), elevati a tratti in risonanze dalla grana moderatamente rumorosa (“Leveled”, “All That’s Left”). Anche in tali passaggi, oltre ai prodromi della transizione ambientale di Meluch, se ne percepisce il tocco elettro-acustico, che completa la dolce ipnosi dei soffi astratti di Dunn di particelle organiche, minuti detriti e pulsazioni.
Tanti spunti e tanto materiale sonoro, nelle cui evanescenze perdersi dolcemente, caratterizzano dunque i quaranta minuti abbondanti frutto di una collaborazione riuscita, che dalla contingenza che accomunava i due artisti al momento della sua instaurazione, ha costruito luminose traiettorie tra rilucenti vapori ambientali.