SILVER SERVANTS – Silver Servants
(Second Language, 2014)*
La natura di cenacolo artistico aperto del nutrito collettivo musicisti gravitanti intorno all’etichetta Second Language è stata più volte sottolineata, in occasione dei numerosi intrecci collaborativi sviluppatisi nel corso della sua quinquennale attività e delle compilation che con significativa frequenza hanno offerto una rassegna del mondo espressivo generato dall’iniziativa di Glen Johnson e David Sheppard.
In effetti, il lavoro pubblicato a nome Silver Servants avrebbe potuto assumere le sembianze di una nuova compilation, se non fosse per le premesse che l’hanno originato e per la lunga storia della sua elaborazione. L’idea era quella (da autentico “collettivo”) di realizzare delle registrazioni estemporanee con la partecipazione di numerosi artisti che in presa diretta elaborano dei brani incrociando i propri stili e strumenti entro il circoscritto limite temporale di un’ora. La prima traduzione pratica dell’esperimento risale al 2010, un’altra è seguita due anni dopo e infine, Oliver Cherer e Glen Johnson hanno provveduto a tirar fuori quelle registrazioni da un cassetto, con qualche aggiunta dell’ultima ora.
Il lavoro che ne è scaturito, pur contrassegnato dalla comunanza dell’idea di fondo e dalla sostanziale affinità tra gli artisti che vi hanno partecipato, conserva l’immediatezza della creazione e l’inevitabile eterogeneità determinata dalle interrelazioni tra i musicisti che vi hanno partecipato. Ciascuna delle dodici tracce meriterebbe un discorso a sé, anche solo per elencare le pressoché infinite ricombinazioni tra Glen Johnson e Jerome Tcherneyan (Piano Magic), Katie English (Isnaj Dui), Oliver Cherer (Dollboy), Angèle David-Guillou (Klima) e David Sheppard (Ellis Island Sound) – protagonisti della prima session – Mark Fry, Sharron Kraus, Áine O’Dwyer, Frances Castle, Nick Palmer (Directorsound), Robin Saville (ISAN) – artefici della seconda – e le aggiunte finali da parte di Keiron Phelan (Littlebow) e Anna Brønsted (Our Broken Garden).
Un vero e proprio super-gruppo si sarebbe definito in tempi e contesti diversi, mentre nell’occasione l’unitarietà del lavoro risiede nella modalità espressiva prima ancora che nella galleria di gemme folk sospese in un altro temporale (le due brevi “Murmurations” cantate rispettivamente da Fry e Cherer e le bucoliche ballate vittoriane “Still Small Voice” e “File Under Bankrupt”), allucinate visioni di spettri di chiara estrazione Piano Magic (”A Crow Will Remember Your Face” e lo spoken word “Lopsided”), saggi di un’elettro-acustica liquida e (“Quam Quod Non Currant” e “Spalling Farrows”) e un frammento di solo piano di Angèle David-Guillou (“The Moment Returns”). Ma sono soprattutto le atmosfere oblique e uno straniante camerismo folk a costituire il filo conduttore dell’esperimento Silver Servants, che vede come estremi da un lato le spesse coltri di drone di organo e synth di “Far Below” e dall’altro il raffinato pop di “Jerusalem”, cantata dalla Brønsted e sicuramente canzone di più facile impatto del lotto, con le sue danzanti sospensioni che vent’anni dopo fanno riaffiorare alla mente i Pram “esotici” di “Sargasso Sea”.
Come se gli intrecci e i registri espressivi fossero pochi, alla versione limitata dell’album è accluso il bonus-cd di quattro brani “Cold Lazarus”, frutto di un più limitato novero di musicisti (Cherer, English, Johnson e Tcherneyan ne costituiscono il nucleo) e improntato a un’elettronica inquieta e visionaria, che si lascia andare a cupe torsioni dark-ambient e persino a divertite escursioni ritmiche.
Anche al di là della peculiarità dell’operazione, il lavoro offre un quadro sfaccettato dell’immediatezza con la quale sono in grado di creare musica degli artisti affiatati che condividono una visione estetica e una dimensione produttiva. Molto più di un’etichetta, come “Silver Servants” è molto più di una raccolta o del resoconto di session estemporanee.
*disco della settimana dal 24 al 31 agosto 2014